CARICHE VIRALI POSITIVE FALSE
Che cosa stiamo misurando?
Matt Irwin
Riassunto
La reazione a catena della polimerasi (PCR) e altre analisi dell’RNA vengono usate con frequenza crescente in una varietà di campi della scienza e della medicina, in particolar modo nello studio del virus dell’immunodeficienza umana (HIV) e della sindrome dell’immunodeficienza acquisita (AIDS). A dispetto del ben diffuso utilizzo di questi esami, ci sono tuttavia diverse incongruenze che sollevano seri dubbi sulla loro accuratezza.
Dove ci si affida maggiormente alle analisi dell’RNA è forse il trattamento medico di persone a cui è stata diagnosticata l’AIDS e con persone che risultano positive ai test anticorpali dell'HIV, casi, questi, in cui si utilizzano per misurare la “carica virale” di una persona. Dato che molte decisioni cliniche importanti vengono prese in base a questi esami, dovrebbero essere richiesti i più alti livelli di sensibilità e di precisione.
L'incongruenza più significativa negli esami dell’RNA per persone diagnosticate sieropositive è la presenza di cariche virali positive false, che si presentano comunemente in percentuali variabili dal 3% al 10% su persone che non hanno fattori di rischio per l’HIV e che risultano negative ai test HIV (persone considerate HIV-negative). Negli Stati Uniti, dove la prevalenza di infezione da HIV è circa dello 0,4%, questa percentuale di falsi positivi significa che uno screening casuale fatto usando il test della carica virale produrrebbe da 30 a 100 falsi positivi ogni 4 positivi veri.
Tra le altre incongruenze vi è la scoperta che fra il 99,99% e il 99,9999% dei virioni HIV stimati con questo metodo non sono infettivi, il che solleva domande sulla loro capacità di causare malattia. In questo documento si recensirà un certo numero di studi che trattano esiti di positivi falsi in analisi dell’HIV RNA, e inoltre si recensiranno brevemente alcune delle altre incongruenze che sollevano dubbi sull’accuratezza delle suddette analisi. Questa recensione non vuol essere completa, ma piuttosto vuol mettere in risalto i problemi più seri e discutere delle loro implicazioni nel trattamento dell’infezione da HIV così come delle loro implicazioni per ulteriori ricerche. La spiegazione più probabile delle scoperte che verranno recensite in questo documento è che molto dell’RNA misurato nelle analisi del carico virale non proviene dall’HIV, ma piuttosto da altri microbi e da normali cellule umane.
Introduzione
Il monitoraggio della carica virale di una persona viene utilizzato in vario modo con le persone diagnosticate positive al test HIV. E’ divenuto uno dei principali metodi, insieme al conteggio dei linfociti CD4, per prendere decisioni sul trattamento, come l'inizio o il cambiamento delle terapie antiretrovirali, o per stabilire quanto è avanzata l’infezione da HIV di una persona. Se qualcuno è stato diagnosticato sieropositivo, il monitoraggio si può usare per diagnosticare l’AIDS in queste persone. Esso, tuttavia, viene usato raramente per diagnosticare l’infezione da HIV a qualcuno, a causa dell’alta percentuale di falsi positivi.
La maggior parte della gente, compresi molti clinici, ritiene che i valori ottenuti da un test della carica virale rappresentino il numero di copie virali presenti in ogni millilitro del sangue di una persona, ma ciò non è quanto il test della carica virale rappresenta nella realtà. Il test della carica virale si usa per misurare la quantità di frammenti di RNA, che si crede siano specifici dell’HIV, presenti in ogni millilitro del sangue di una persona. Anche questa affermazione, tuttavia, non è del tutto esatta, dal momento che la misura del quantitativo viene eseguita indirettamente usando equazioni matematiche, anziché un qualsiasi metodo di conteggio diretto. Ciò che in realtà avviene è che vengono usate sonde per identificare brevi sequenze di RNA che si pensa provengano dall’HIV. Quanto rilevato con le sonde viene poi amplificato in modo esponenziale in una serie di passi di replicazione. Solo dopo che si sono compiute tutte queste amplificazioni, i frammenti di RNA possono essere rilevati e contati. Viene poi applicata una complessa stima matematica per cercare di stimare quanti frammenti di RNA erano presenti nel campione originale di sangue, e da ciò si ottiene finalmente il valore che rappresenta la “carica virale” di una persona. Ciascuna di queste fasi introduce un rischio potenziale di inaccuratezza nei risultati, a partire dal presupposto che solo l’RNA proveniente dall’HIV verrà identificato e amplificato, fino al presupposto che la formula matematica rivelerà accuratamente quante di tali copie erano presenti in origine.
Falsi positivi si presentano con tutte le analisi dell’RNA disponibili, compresa la più recente generazione di test (Mendoza e altri 1998). Quando vengono eseguite sul siero di persone considerate HIV-negative, dal 3% al 10% di loro hanno normalmente cariche virali positivi, e il tasso più alto riferito di risultati di falsi positivi è un considerevole 60% (HIV surrogate marker coll. group 2000).
Benché la maggior parte dei casi riportati abbia false cariche virali di 10.000 o meno, sono stati rilevati cariche virali positive false fino a 100.000 copie per millilitro. Negli Stati Uniti, dove la presenza dell’HIV è di circa 1 persona su 250 (0.4%), un tasso di falsi positivi del solo 2% significherebbe ancora che uno screening casuale della popolazione darebbe come risultato 5 falsi positivi per ogni vero positivo, e un tasso di falsi positivi del 10% darebbe come risultato 25 falsi positivi per ogni vero positivo. La spiegazione più plausibile per un tasso così alto di falsi positivi è che le analisi dell’HIV RNA normalmente reagiscono con l’RNA non-HIV, come quello prodotto dalle normali cellule umane e da altri microbi.
Il genoma umano ha circa 3 miliardi di coppie basi, mentre quello dell’HIV ne ha solo circa 10.000. A causa di questa differenza, le cellule umane producono molto più RNA rispetto all’HIV. L’RNA delle cellule umane potrebbe venire rilasciato in grandi quantità durante i momenti di morte rapida della cellula, il che è quanto accade durante i processi infettivi ed infiammatori normalmente presenti in persone diagnosticate HIV-positive. Questo potrebbe accrescere di molto il potenziale di cariche virali positivi false proprio nella popolazione che si sta studiando. L’alto tasso di esiti falsi positivi nelle analisi dell’HIV RNA suggerisce che una parte dei 3 miliardi di coppie basi nel genoma umano potrebbe produrre RNA che viene attribuito erroneamente all’HIV. Questo argomento è rafforzato dal fatto che le tipiche analisi dell’RNA cercano soltanto circa il 3% del materiale genetico dell’HIV, o circa 300 coppie basi.
Un altro fatto che aumenta il rischio di cariche virali positive false è che in questi test si utilizzano sequenze di RNA basate sulle proteine anticorpali rilevate dai test anticorpali ELISA e Western Blot. Vale a dire che se una persona ha un risultato di falso positivo o indeterminato in entrambi i test anticorpali è molto probabile che abbia un risultato di falso positivo anche al test della carica virale. Risultati di falsi positivi o indeterminati in questi test sono ben documentati. Per esempio, dal 20% al 40% dei donatori di sangue sani senza fattori di rischio per l'infezione da HIV e che risultano negativi al test ELISA risulteranno indeterminati al test Western Blot (Proffitt e altri, 1993).
Un'altra incongruenza è che in alcuni studi si è scoperto che il numero di copie virali rilevate in questi test rappresentano, per una percentuale tra il 99,99% e il 99,9999%, virus non infettivi (Piatak e altri 1993). I virus non infettivi non si ritiene siano in grado di causare malattie, dal momento che - per definizione - non possono infettare le cellule. E' anche possibile che questi "virus non infettivi", che potrebbero rappresentare dal 99,99% al 99,9999% della misura della carica virale di una persona, non siano in realtà affatto virus, ma piuttosto rappresentino la rilevazione di RNA non proveniente da HIV.
Questo lavoro presenterà dapprima alcune incongruenze nelle misure della carica virale, ma anche spiegazioni alternative di queste incongruenze, che suggeriscono la possibilità che non si stia misurando in modo accurato l'attività dell'HIV. Verranno quindi recensiti alcuni studi che documentano la presenza relativamente frequente di cariche virali positive false in persone considerate HIV negative. Saranno inclusi dei commenti sui farmaci antiretrovirali (anti-HIV). Questi farmaci agiscono interferendo con la sintesi dell'RNA e del DNA, e hanno questo effetto su quasi tutte le cellule umane, come pure su altri microbi, non solo sull'HIV (Schmitz e altri 1994, Dalakas e altri 1994, Bacellar e altri 1994, Physician's Desk Reference/PDR 1999, Cassone 1999, Atzori 2000, PDR 1999). Questo significa che i farmaci anti-HIV potrebbero ridurre pesantemente la carica virale anche se l'RNA provenisse da normali cellule umane o da altri microbi presenti nella persona che viene sottoposta a test.
I. Le cariche virali rappresentano per il 99,99% - 99,9999% virus non infettivi.
I virus possono causare danno solo se sono infettivi, perché, per causare la morte cellulare, essi hanno bisogno di infettare le cellule. I ricercatori, che cercano di scoprire quale proporzione del grandissimo numero di HIV riportati dal quantitativo PCR rappresenti virus attivi e infettivi, hanno scoperto che appena 1 su 10 milioni (0,0001%) è realmente infettivo. Un virus che non può infettare una cellula è sostanzialmente sterile, dal momento che non può danneggiare nessuna cellula se non può infettarla. Seguono alcuni commenti da uno studio pubblicato su Science nel 1993 in cui i ricercatori hanno scoperto che la stragrande maggioranza di particelle virali rilevate con le analisi della carica virale erano non infettive e non coltivabili. (Piatak e altri 1993).
"I livelli circolanti di virus nel plasma determinati dalla PCR (quantitativa) erano in correlazione, ma più numerosi in media di 60.000 volte, con il numero di HIV-1 infettivi, che erano stati determinati da colture quantitative di identiche porzioni di plasma...E' stato riportato (in altri studi) che il numero totale di virioni supera le unità infettive coltivabili di un fattore da 10.000 a 10.000.000, proporzioni simili a quelle che abbiamo osservato nel plasma." (Piatak e altri 1993, pag. 1752)
Questo significa che questi ricercatori hanno stimato che solo circa 1 virione su 60.000 tra quelli scoperti usando la PCR quantitativa era realmente infettivo, e che altri studi ne hanno scoperto appena 1 su 10 milioni. I ricercatori non furono in grado di coltivare nessun virus in più della metà dei pazienti (35 su 66), e persone senza traccia di virus infettivi avevano una carica virale fino a 815.000 copie per millilitro. I soggetti in studio erano tutti risultati positivi ai test ELISA e Western Blot, che sono i test usati correntemente per diagnosticare persone HIV positive, avevano tutti alti livelli di carica virale, e tuttavia la maggioranza di loro non aveva unità coltivabili di HIV. Questa difficoltà nel trovare particelle attive di HIV è stata incontrata da molti altri ricercatori che hanno cercato di confermare la presenza di HIV nel sangue delle persone (Chiodi 1988, Gallo 1984, Learmont 1992, Popovic 1984, Sarngadharan 1984, Schupbach 1984).
II. Le cariche virali positive false
Da studi che prendono in esame le cariche virali positive false si è scoperto che la percentuale di falsi positivi varia ampiamente tra lo 0 e il 60%, più comunemente tra il 3 e il 10%. Il numero di copie virali per millilitro di sangue riscontrato in persone considerate HIV negative spaziava da 48 a oltre 100.000. Questi livelli sono molto più alti del livello usato per modificare la terapia in persone diagnosticate HIV positive. Le raccomandazioni correnti sono che se una persona è in terapia combinata antiretrovirale e la sua carica virale cresce fino a un livello appena misurabile, i suoi farmaci devono essere cambiati. Per esempio, un articolo recente sull'uso della carica virale nel trattamento dell'infezione da HIV dichiara:
" Il fallimento nel raggiungere il livello desiderato di 50 copie per millilitro dopo 16-24 settimane di trattamento dovrebbe suggerire una resistenza al farmaco, un inadeguato assorbimento del farmaco o una bassa adesione alla terapia... Per i pazienti in cui è stato raggiunto una carica virale nel plasma inferiore al livello rilevabile, l'indicazione generale è di cambiare la terapia antiretrovirale se viene scoperto che la concentrazione plasmatica di RNA dell'HIV sta crescendo. Idealmente, ogni volta che si trovi un livello plasmatico rilevabile di RNA dell'HIV, questa è un'indicazione per cambiare terapia. In alcuni pazienti, può essere ragionevole aspettare finchè non vi sia una crescita documentata nel livello plasmatico di RNA dell'HIV di oltre 2000 fino a 5000 copie per millilitro." (Mylonakis e altri 2001, pag. 483).
Questo dimostra chiaramente che un livello di sole 50 copie per millilitro è considerato significativo, e tuttavia si dimostrerà che falsi positivi di carica virale fino a 100.000 copie per millilitro sono stati rilevati. Sapere quali condizioni predispongono una persona ad avere una falsa positività alla carica virale sarebbe di grande aiuto nel trattamento di coloro che sono stati diagnosticati HIV positivi, dal momento che potrebbe essere utile nel determinare quanto della carica virale di una persona rappresenti l'effettiva attività dell'HIV. Nonostante sia ragionevole che i falsi positivi alla carica virale appaiano ogni volta che c'è una grande quantità di morti cellulari a causa delle grandi quantità di RNA che sono rilasciate quando le cellule muoiono in gran numero, non abbiamo trovato nessuno studio controllato in cui si cerchi di determinare quali fattori influenzano la probabilità di avere falsi positivi.
IIa. Cariche virali positive false in tre differenti test sulla carica virale.
Nel 1998 Mendoza e altri pubblicarono un articolo sulle cariche virali positive false, significativo perchè mettono a confronto tre diversi test di carica virale (Mendoza e altri, 1998). Parecchi giorni dopo aver diagnosticato ad un bambino di 5 mesi l’infezione da HIV basandosi su una carica virale di 3044 copie per millilitro e avergli fatto iniziare una cura antiretrovirale, essi scoprirono che lui e i suoi genitori risultavano negativi ai test anticorpali. Dopo approfondite visite di controllo del bambino e dei suoi genitori, arrivarono alla conclusione che “Un sospetto di carica virale positiva falsa appare l'unica spiegazione di questa controversia” (pag. 2076). Questo accadimento li spinse ad eseguire un semplice esperimento, che essi descrivono come segue:
“Da quando i test sulla carica virale sono stati approvati per quantificare i virus presenti nel sangue di individui già noti HIV-positivi, eravamo interessati a conoscere la loro specificità. A questo scopo, abbiamo selezionato 20 volontari in buona salute, ognuno dei quali dava risultati negativi per gli anticorpi dell’HIV utilizzando differenti test di monitoraggio. Plasma prelevato da ciascuno di loro è stato analizzato con tre test attualmente disponibili per misurare la carica virale dell’HIV.” (Mendoza e altri 1998, pag. 2076).
Nel primo test, in cui veniva usato un saggio a DNA ramificato del laboratorio della Chiron, si scoprì che 2 dei 20 volontari (il 10%) avevano una carica virale positiva, uno con una carica virale di 10620 copie per millilitro, e uno con 2020. Il test basato sull’amplificazione dell’acido nucleico, da Organon Teknika, dava pure 2 falsi positivi su 20, sebbene con valori più bassi di 150 e 480 copie per millilitro. L’ultimo test, RT-PCR Monitor della Roche, è stato usato percorrendo due strade diverse, una volta cercando solo un particolare sottotipo di HIV e una volta cercando qualsiasi tipo di HIV. Cercando solo il sottotipo, solo 1 su 20 (il 5%) era positivo, ma cercando qualsiasi tipo di HIV 4 su 20 (il 20%) erano positivi. Benché questa percentuale di falsi positivi fosse più alta di quella trovata con gli altri test, i valori misurati erano più bassi, andando da 48 a 253 copie per ml. Gli autori non rivelano se le stesse persone che risultavano positive in un test avessero più probabilità di risultare positive in un altro, ma dichiarano che ripetere i test riproduceva gli stessi risultati in più della metà dei campioni su cui si potè ripetere il test.
Questo studio è significativo non solo perché ha trovato falsi positivi in tre differenti test dell’RNA, ma anche perché ha utilizzato volontari in buona salute senza fattori di rischio per l’infezione da HIV, nei quali la possibilità di infezione acuta da HIV è estremamente bassa. In gran parte degli altri studi che andremo a recensire si è guardato solo all’accuratezza dell’esame dell’RNA RT-PCR Monitor nel misurare le cariche virali, e spesso si sono studiate persone con noti fattori di rischio o nota esposizione all’HIV.
IIb. Falsi positivi di 100.000 copie per millilitro
Nel 1997 venne pubblicato uno studio con una carica virale positiva falsa accuratamente documentato fino a 100.000 copie per millilitro (Schwartz e altri, 1997). Il paziente in questione partecipava ad un esperimento clinico su un vaccino per l’HIV, veniva attentamente seguito e il suo sangue era stato analizzato per gli anticorpi dell’HIV più volte all’anno per parecchi anni. Un test della carica virale venne eseguito per primo sul suo siero quando il paziente riportò sintomi simili a quelli dell’influenza. Si pensa che sintomi del genere suggeriscano il principio dell’infezione acuta da HIV, che viene anche chiamata “sindrome retrovirale acuta”. Il test della carica virale era positivo, e gli autori decisero di eseguire test della carica virale su tutti i campioni disponibili di sangue di quel paziente che erano stati conservati per tutta la durata dell’esperimento clinico. I test anticorpali su questi campioni di siero erano stati tutti negativi, ma si scoprì ora che quattro dei campioni di parecchi anni prima avevano carichi virali positivi, il più grande “compreso fra 10.000 e 100.000”. Questo paziente fece ripetutamente i test nell’anno successivo, sempre con risultati negativi, quindi la probabilità che al momento stesse sperimentando l’infezione acuta da HIV è estremamente bassa. Mentre un valore così alto di falsa positività è insolito, anche un solo valore simile è abbastanza significativo da mettere in discussione la pratica di scegliere una soglia arbitraria al di sopra della quale si ritiene che un test di carico virale diagnostichi con accuratezza l’infezione da HIV. Una soglia che viene usata comunemente è quella delle 10.000 copie per millilitro: per esempio, uno studio recentissimo, che guardava in modo retrospettivo i campioni di sangue provenienti da persone con fattori di rischio per l’infezione da HIV e sintomi simili a quelli dell’influenza, presupponeva che carichi virali al di sopra di 10.000 rappresentassero “veri positivi” mentre quelli al di sotto no (Daar e altri 2001). Questo fatto venne descritto da Daar e altri come segue:
“Follow-up non era disponibile per questi 127 pazienti (gruppo 1); perciò, prima di analizzare un dato campione, abbiamo stabilito che un valore di RNA dell’HIV al di sopra delle 10.000 copie per millilitro sarebbe stato considerato “vero-positivo”. ...Due dei 127 pazienti nel gruppo 1 erano negativi per gli anticorpi dell’HIV e negativi per l’antigene p24, ma positivi per l’RNA dell’HIV a livelli di oltre 100.000 copie per millilitro. Per lo scopo di quest’analisi, essi sono stati considerati veri positivi per l’infezione primaria da HIV.” (Daar e altri 2001, pag. 26).
Mentre è possibile che questi pazienti avessero infine avuto test positivi per gli anticorpi dell’HIV, appare inappropriato ritenere che questo sia il caso alla luce degli studi di cui sopra, che descrivono l’alto tasso di risultati falsi positivi. Questi due pazienti potrebbero rappresentare uno dei tanti casi di carichi virali falsi positivi al di sopra di 100.000, ma è impossibile essere sicuri senza ulteriori dati clinici. In questo studio di Daar e altri si sono anche osservati altri due gruppi di persone a rischio per l’infezione da HIV. Negli altri due gruppi un test anticorpale supplementare era disponibile, e si scoprì che 8 soggetti su 217 (il 3,7%) avevano un risultato di falsi positivi, con cariche virali che andavano dalle 50 alle 2000 copie per millilitro. Poiché gli autori includono il gruppo 1 nei loro dati nonostante il fatto che non ci siano dati supplementari disponibili per questo gruppo, le loro conclusioni ed il loro riassunto riportano un tasso inferiore di falsi positivi del 2,6%.
Benché non sia l’argomento primario di questo documento, l’accuratezza del test dell’antigene p24 è stata anche chiamata in causa da Daar e altri (2001). Alcune persone nei gruppi studiati sono state trovate positive per gli anticorpi dell’HIV in un monitoraggio iniziale, e sono state descritte come portatrici di “infezione cronica da HIV”. La stragrande maggioranza di queste persone (l’82%) erano negative per l’antigene p24, che è una proteina ritenuta parte specifica ed integrante del virus. Persone con cariche virali fino almeno a 631.000 copie per millilitro erano ancora negative per l’antigene p24, il che di nuovo solleva la questione di quanti virus fossero effettivamente presenti in queste persone.
In un altro studio recente di Rosenberg e altri (1999) si sono anche trovate carichi virali molto alte in persone che erano negative ai test anticorpali dell’HIV, il più grande dei quali pari a oltre 1,5 milioni di copie per millilitro. Questo studio era inteso come un tentativo di vedere se persone a cui era stata diagnosticata in precedenza la mononucleosi acuta avessero in realtà sintomi di infezione acuta da HIV. Per stabilire ciò essi hanno usato un singolo campione immagazzinato di sangue, senza basarsi su dati clinici o ulteriori esami. Gli autori hanno scoperto che 4 soggetti su 563 (lo 0,7%) avevano una carica virale positiva con test anticorpali ELISA negativi. Questo tasso dello 0,7% è molto più basso rispetto ai tassi di falsi positivi menzionati sopra, il che fa salire davvero la probabilità che si trattasse di falsi positivi, benchè non fossero disponibili né dati clinici supplementari né test. Come per gli autori prima citati, essi ritengono che le persone nel loro studio siano HIV positive basandosi unicamente sui test della carica virale. Mentre è ancora possibile che queste persone fossero state infettate da poco dall’HIV, è però anche possibile che rappresentino un altro esempio di falsi positivi, stavolta con carichi virali di oltre un milione e mezzo.
IIc. Una meta-analisi dei risultati falsi positivi negli esami dell’RNA
Nel 1996 Owens e altri pubblicarono una meta-analisi di 96 studi differenti che guardavano alla specificità e alla sensibilità della reazione a catena della polimerasi (PCR) nel diagnosticare l’infezione da HIV (HIV surrogate marker coll. group 2000). Scoprirono che la specificità della PCR variava ampiamente in questi studi, da un minimo del 40% a un massimo del 100%, il che significa che le percentuali di falsi positivi variavano dal 60% allo 0%.
Avrebbero avuto percentuali di falsi positivi anche più alte se avessero incluso i risultati “indeterminati” della PCR tra i positivi. Negli studi di qualità più alta, secondo gli autori, il tasso di falsi positivi spaziava tra il 5% e lo 0%. Gli autori hanno anche scoperto che gli studi in cui si utilizzava la tecnologia più recente per la PCR non erano più precisi degli studi precedenti, e che una mancanza di imparzialità nelle pubblicazioni può aver impedito che studi con risultati peggiori venissero pubblicati. Ecco le loro descrizioni di queste scoperte:
“La nostra analisi di sottogruppo mostra che gli studi pubblicati solo come riassunti hanno fornito stime più basse della sensibilità e della specificità della PCR. Questo può indicare prevenzione sulla pubblicazione - la preferenza per la pubblicazione di studi favorevoli anziché di studi sfavorevoli. ...Non abbiamo trovato prove che l’esecuzione della PCR sia migliorata col tempo.” (HIV surrogate marker coll. group 2000, pag. 810).
Essi discutono anche un fattore comune che può portare a pretese di specificità falsamente alte. Questo succede perché il risultato del test PCR è definito positivo o negativo sulla base di un valore soglia, e non è un risultato “sì o no”. Se la soglia è scelta in modo che anche una reattività molto blanda venga interpretata come positiva, allora molte persone che non sono veramente positive verranno erroneamente identificate. Se è richiesta una soglia alta e vengono contati solo campioni con una reattività molto forte, allora la specificità aumenterà, ma più persone che sono davvero positive verranno mancate per bassa sensibilità. Come descritto dagli autori:
“Poiché sia la sensibilità che la specificità sono determinate dalla scelta di una soglia per un risultato abnorme di un test, tra di esse vi è un'interazione intrinseca. La soglia può essere scelta in modo che la PCR sia sensibile al 100% o in modo che sia specifica al 100%, ma non entrambe le cose in circostanze normali (a meno che il test non sia perfetto...). Così, uno studio che valuti solo la sensibilità della PCR o solo la specificità della PCR fornisce informazioni insufficienti per la valutazione dell’esecuzione del test.”. (HIV surrogate marker coll. group 2000, pag. 812).
IId. Cariche virali positive false - una serie di casi
Rich e altri (1999) hanno pubblicato una serie di casi descrivendo tre pazienti con cariche virali positive false. Mentre gli autori non danno informazioni che permetterebbero di stimare il tasso di falsi positivi, la loro serie è significativa perché dimostra che i falsi positivi nella carica virale possono avere probabilità di presentarsi in congiunzione con i falsi positivi in entrambi i test anticorpali dell’HIV ELISA e Western Blot. Dal momento che gli esami dell’RNA cercano l’RNA che si basa sulla sequenza di amino-acidi delle stesse proteine usate nell’ELISA e nell’Western Blot, questo non dovrebbe sorprendere. L’ELISA è usato come test di monitoraggio e il Western Blot, che divide le stesse proteine usate nell’ELISA in 10 bande separate, è usato come test di conferma. Il test Western Blot viene eseguito solo se l’ELISA è positivo. Mentre i primi due casi avevano test anticorpali negativi,, il terzo aveva l’ELISA positivo e l’Western Blot indeterminato. Questo caso era una donna di 20 anni in buona salute i cui risultati dei test sono stati descritti come segue:
“Durante un periodo di quattro mesi dopo il suo risultato indeterminato al test Western Blot, lei ha avuto risultati positivi all’ELISA e risultati indeterminati al Western Blot in momenti diversi. Cinque mesi dopo, sia l’ELISA che il Western Blot davano risultati negativi, ma la paziente aveva un carico virale plasmatico di 1300 copie per millilitro.” (Rich e altri 1999, pag. 38).
La possibilità che i test di cariche virali positive false siano più probabili quando si presenta un’ELISA falso positivo o un Western Blot indeterminato è ragionevole, e ulteriori studi non sarebbero difficili. I test Western Blot sono indeterminati dal 20 al 40% di donatori di sangue sani che sono negativi nel test ELISA (Proffitt e altri 1993). Mentre questo tasso estremamente alto di falsi indeterminati solleva domande riguardo a questo test a cui ci si affida moltissimo, renderebbe la ricerca futura facile da eseguire grazie alla ricca disponibilità di persone con test indeterminati nelle quali le cariche virali possono essere misurate.
IIe. Cariche virali positive false in seguito a punture d'ago con sangue HIV positivo
Gerberding e altri (1994) hanno condotto uno studio sulle punture da ago contaminato da HIV, e nello svolgimento del lavoro hanno anche scoperto dati che chiamano in causa il valore del test della carica virale/PCR. Hanno eseguito test PCR su 133 dei 327 lavoratori sani che hanno sperimentato punture d'ago nella loro clinica. Tutti questi 133 soggetti sono rimasti HIV negativi nel test anticorpale ELISA, ma 7 di loro erano risultati PCR "indeterminati", e altri quattro avevano uno o più risultati veri positivi per una percentuale di falsi positivi del 3%. Se vengono contati anche i risultati indeterminati, la percentuale di falsi positivi è dell'8%. Gerberding e altri commentano le loro scoperte sulla PCR come segue:
"Il fallimento nel dimostrare la sieroconversione... tra quelli con test PCR positivi suggerisce che i falsi positivi si presentano anche quando il test è eseguito in modo rigoroso. Il basso valore predittivo di un test PCR positivo o indeterminato... controindica l'uso di routine dell'amplificazione genica in questa situazione clinica." (Gerberding e altri 1994, pag. 1415).
IIf. Test falsi positivi per il DNA dell'HIV
Un'altra analisi che una volta era molto favorita è un'analisi del DNA dell'HIV , che è simile a un'analisi dell'RNA dell'HIV e usa la stessa tecnologia della PCR. Uno studio che si è occupato di questa analisi venne pubblicato nel 1992 da Busch e altri. Hanno eseguito il test PCR sul DNA su 151 persone negative all'ELISA e hanno scoperto che il 18,5% (28 persone) erano positive alla PCR. Inoltre, hanno scoperto che solo il 25,5% delle persone diagnosticate HIV positive erano positive alla PCR. Nelle loro conclusioni hanno posto attenzione a quanto siano vicini i due numeri 18,5% e 25,5%:
"Questo studio sulla ricerca del DNA dell'HIV nel siero col metodo della PCR ha identificato un preoccupante tasso elevato di positività non specifica per un frammento di DNA ampiamente utilizzato, il gag primer pair (la gag è una proteina considerata specifica dell'HIV). In effetti la positività in toto non era diversa in modo significativo nei campioni di siero provenienti da pazienti sieropositivi e quelli provenienti da donatori sieronegativi (25,5% contro 18,5%). In contrasto con questo alto tasso di risultati falsi positivi osservati con gag primers, l'env DNA [env è un'altra proteina ritenuta specifica dell'HIV] non è stata identificata dal laboratorio B in nessuno dei campioni sia degli individui sieronegativi sia di quelli sieropositivi.
L'assenza di reazioni con entrambi i primer pairs da parte di tutti i 59 campioni provenienti da persone sieropositive voleva dire che nessun campione di siero poteva essere confermato positivo per il DNA dell'HIV, cioè 0% di sensibilità. Questa scoperta è in netto contrasto con l'alta sensibilità riportata in precedenza dal laboratorio B per entrambi i primers,, gag ed env." (Busch e altri 1992, pagg. 874-875).
Benché il test del DNA dell'HIV non sia usato per misurare la carica virale, è interessante notare i problemi significativi che si sono manifestati con questo test nonostante il fatto che i laboratori che l'hanno prodotto affermassero che era molto accurato, sensibile e specifico. Il fatto che trovassero una sensibilità dello 0% per una delle proteine chiave ritenute specifiche dell'HIV suggerisce ancora che queste analisi abbiano una reazione soprattutto con DNA e RNA non appartenenti all'HIV, e che la attribuiscano erroneamente all'HIV.
III. Spiegazioni alternative delle variazioni delle cariche virali e i miglioramenti clinici
IIIa. L'effetto placebo
Sebbene le persone i cui carichi virali sono ridotti con successo da farmaci antiretrovirali abbiano miglioramenti clinici (Gilbert e altri 2001), ci sono parecchie altre spiegazioni possibili di ciò oltre a quella largamente accettata. La spiegazione convenzionale è che queste cariche virali ridotte rappresentano un'attività ridotta dell'HIV e quantità ridotte di particelle HIV, e questo si traduce in un miglioramento della salute dal punto di vista clinico.
Un fattore che viene ignorato da questo esempio è l'effetto placebo. Sebbene molte sperimentazioni sui farmaci anti-HIV siano sperimentazioni controllate con placebo in doppio cieco, i valori della carica virale non sono in cieco. Poiché comunemente si pensa che i carichi virali rappresentino il numero di virus per millilitro di sangue, può essere terrificante sentire che la carica virale di una persona è nell'ordine delle migliaia, delle centinaia di migliaia, o addirittura dei milioni. Ricevere buone notizie, come essere informati di una consistente riduzione del carico virale, può avere un effetto diretto sullo stato di salute di una persona, anche se l'RNA che è stato misurato non proviene dall'HIV. Sentire che la propria carica virale è diminuita in modo consistente può ridurre i problemi emotivi e psicologici come ansia e depressione, che possono essere pesanti in persone diagnosticate HIV-positive. Migliorare il benessere psicologico ed emotivo può promuovere la messa in atto di comportamenti a favore della propria salute, come l'esercizio fisico, una buona alimentazione, cure mediche migliori e la cura di sé.
Ci sono anche buone ragioni per credere che i pazienti nelle sperimentazioni cliniche in questione riescano a vedere attraverso il doppio cieco. È stato dimostrato che la maggior parte dei partecipanti a studi sui farmaci riesce a indovinare se sta prendendo il farmaco o il placebo (Greenberg and Fisher 1997). Ci sono numerose spiegazioni plausibili per questa scoperta. Nel caso dell'HIV, una è che il carico virale è spesso ridotto maggiormente dal farmaco. Un'altra è che i gruppi che ricevono il farmaco hanno anche significativamente più effetti collaterali.
IIIb. Riduzioni dell'RNA nelle normali cellule umane e in altri microbi
Il numero di virus stimato dai test della carica virale è basato su misure di frammenti di RNA, perciò qualsiasi cambiamento nei livelli di RNA globale nel sangue potrebbe potenzialmente alterare il carico virale di una persona, anche se questo RNA non proviene dall'HIV. Molti farmaci antiretrovirali hanno effetto antimicrobico a breve termine, il che può avere come risultato un temporaneo miglioramento della salute, e fanno ciò inibendo direttamente la sintesi dell'RNA e del DNA. Questi farmaci riducono inoltre la sintesi dell'RNA e del DNA in un'ampia varietà di cellule umane, compresi i globuli rossi, i globuli bianchi, le cellule dei nervi, le cellule del midollo osseo e le cellule dei muscoli, il che ha come risultato alcuni degli effetti avversi più comuni, come riportato nelle sperimentazioni cliniche (Schmitz e altri 1994, Dalakas e altri 1994, Bacellar e altri 1994, Physician's Desk Reference/PDR 1999). Si è scoperto che questi farmaci sopprimono anche microbi, come Pneumocystis carinii, Candida albicans, Enterobacter, Shigella, Salmonella, Klebsiella, Citrobacter ed E-coli, e molti altri microbi che non sono ancora stati studiati potrebbero pure essere affetti (Cassone 1999, Atzori 2000, PDR 1999). La sintesi diminuita di RNA e di DNA nei microbi darà come risultato un'infezione ridotta, mentre nelle cellule umane darà come risultato attività ridotta, divisione cellulare ridotta e minor risposta infiammatoria ed un'infezione. Questa riduzione dell'infezione e dell'infiammazione, così come la diretta soppressione della produzione di RNA, possono dare probabilmente come risultato drastiche riduzioni dell'RNA nel flusso sanguigno. Se le analisi del carico virale misurano comunemente l'RNA proveniente dalle cellule umane e da altri microbi e lo attribuiscono erroneamente all'HIV, come suggerito dagli articoli che verranno recensiti in questo documento, allora la riduzione della sintesi dell'RNA e del DNA che questi farmaci causano potrebbe ovviamente dare come risultato un abbassamento della carica virale, anche se non c'è nessun HIV presente.
Sfortunatamente, l'effetto antimicrobico di questi farmaci è di breve durata poiché la resistenza dei microbi si sviluppa velocemente (PDR 1999). Questa può essere un'altra spiegazione per le persone i cui carichi virali aumentano mentre esse prendono farmaci anti-HIV, dato che i microbi e le cellule umane potrebbero adattarsi e aumentare la loro produzione di RNA nonostante la presenza di farmaci anti-HIV.
Altri farmaci che interferiscono con la sintesi dell'RNA, come molti chemioterapici per il cancro, causerebbero cadute drammatiche della carica virale, anche in una persona HIV-negativa. Un’altra possibilità sollevata da questi argomenti è che l'aumento dei carichi virali, che viene spesso osservato subito dopo che una persona smette di prendere farmaci antiretrovirali, può non rappresentare rinnovata attività dell’HIV, come invece comunemente si pensa. Quando la produzione umana o microbica di RNA e DNA viene soppressa con mezzi artificiali, le cellule cercheranno naturalmente di compensare aumentando la loro produzione di RNA e DNA. Quando l’effetto inibitorio del farmaco è rimosso, questa oroduzione accelerata può diventare dominante e causare una rapida crescita del carico virale, anche se l’HIV non è presente.
IIIc. Le grandi riduzioni della carica virale non sono migliori delle piccole riduzioni
Il confronto tra gli studi che mostrano effetti positivi quando i carichi virali vengono ridotti, mostra un'altra incongruenza: le riduzioni drastiche della carica virale non offrono un maggiore beneficio clinico rispetto alle piccole riduzioni. Un’analisi di tutte le 16 sperimentazioni casuali che hanno confrontato risultati basati sulla riduzione del carico virale indotta da farmaci, ha portato alla scoperta che i farmaci che causano una marcata riduzione dei carichi virali non mostrano risultati clinici migliori rispetto a studi con solo blande riduzioni e i farmaci che causano simili riduzioni nei carichi virali hanno risultati clinici ampiamente variabili (HIV Surrogate Marker Collaborative Group 2000).
Se un marcatore surrogato, come il carico virale, fosse un indicatore affidabile dell’efficacia del farmaco, allora riduzioni più drastiche del carico virale darebbero migliori esiti clinici, ma questo non avviene. Ecco alcune citazioni dagli autori di uno studio che esamina questa questione, pubblicato nel 2000 in Aids Research and Human Retroviruses.
“Se un marcatore prognostico è affidabile come endpoint surrogato, allora mettendo a confronto trattamenti scelti a caso che mostrano grandi differenze nei livelli del marcatore, si dovrebbero avere grandi differenze anche nel rischio di AIDS/morte. ...(Nella nostra analisi), le sperimentazioni che mostrano poca differenza, agli effetti del marcatore, possono avere differenze piuttosto varie sull’esito clinico.”(HIV Surrogate Marker Collaborative Group 2000, pagg. 1129-1130).
Nel loro riassunto essi dichiarano semplicemente:
“I cambiamenti a breve termine di questi marcatori (HIV-1 RNA e conteggio CD4) sono imperfetti come endpoint surrogati di esito clinico a lungo termine poichè due confronti fra trattamenti presi a caso possono mostrare differenze simili tra i trattamenti nelle variazioni del marcatore ma non altrettanto nella progressione AIDS/morte.”(HIV Surrogate Marker Collaborative Group 2000, pag. 1123).
IIId. Spiegazioni alternative per la riduzione del tasso di morte da AIDS
Sebbene la drastica riduzione dei tassi di morte da AIDS negli Stati Uniti venga attribuita ai regimi medici di combinazione antiretrovirale, ci sono spiegazioni alternative per la riduzione dei tassi che vengono spesso ignorate. Il primo problema è che la riduzione dei tassi è cominciata prima che i nuovi farmaci venissero introdotti. Nel 1995 i tassi di morte da AIDS hanno cominciato a scendere (CDC 1997), ma il primo inibitore della proteasi non è stato approvato dall’FDA prima del dicembre 1995. Nel 1996 solo il 20% delle persone diagnosticate HIV positive stavano prendendo i nuovi farmaci, il che non è una proporzione sufficiente per giustificare le forti diminuzioni che si sono verificate (McNaughten e altri 2001).
Una spiegazione alternativa per la riduzione dei tassi di morte cominciata nel 1995 è che il numero di nuovi casi di AIDS ha cominciato a scendere nel 1993 (CDC 1997). Il ribasso delle morti da AIDS cominciato due anni più tardi nel 1995 sarebbe una logica estensione della diminuzione di nuovi casi di AIDS. In più, nel 1993 è stata introdotta una nuova definizione di AIDS che permetteva a persone senza infermità clinica di essere diagnosticate malate di AIDS - persone con i conteggi dei CD4 inferiori a 200. Questo gruppo di persone ha rappresentato circa la metà di tutte le diagnosi di AIDS a partire da quel periodo. Questo significa che le persone diagnosticate a partire dal 1993 non sono così malate come le persone diagnosticate prima del 1993 e che più persone sarebbero in grado di essere diagnosticate malate di AIDS. Nonostante questo allentamento della diagnosi, la frequenza di nuovi casi di AIDS ha cominciato a diminuire, il che suggerisce che il numero di casi di AIDS sarebbe diminuito anche più vertiginosamente se questa nuova definizione non fosse stata introdotta.
Conclusioni
Questo testo, mentre non spiega la causa delle cariche virali positive false, dimostra che c’è un tasso sorprendentemente alto di falsi positivi. Questa scoperta solleva abbastanza domande da consigliare cautela nel considerare l’attuale massiccio affidamento fatto su di essi quando si prendono decisioni sul trattamento per persone diagnosticate HIV positive.
I carichi virali falsi positivi si presentano comunemente nel 3 - 10% delle persone che sono HIV negative, con il tasso più alto riportato del 60%. La carica virale positiva falsa più alta riportata spaziava dalle 10.000 alle 100.000 copie per millilitro, ed è possibile che alcuni valori oltre il milione e mezzo indicassero falsi positivi sebbene non siano disponibili ulteriori dati per questi casi. Questo fatto dev’essere contrapposto alla pratica corrente di cambiare regimi antiretrovirali se il carico virale di una persona non scende al di sotto di 50, come nella descrizione fatta da Mylonakis e altri (2001) delle correnti linee di condotta.
Un’ipotesi che potrebbe spiegare queste scoperte è che le analisi del carico virale dell’HIV comunemente scambiano l’RNA proveniente dalle normali cellule umane e da altri microbi per quello dell’HIV. Quest’ipotesi può essere verificata misurando le cariche virali di persone con malattie acute e con alti livelli di RNA nel sangue. Poiché i farmaci anti-HIV abbassano la sintesi di RNA in un’ampia varietà di cellule, le riduzioni della carica virale che accompagnano l’uso di questi farmaci possono indicare una riduzione non-specifica del carico totale di RNA, come se fosse opposta ad una riduzione specifica dell’RNA dell’HIV. Questo argomento è sostenuto dalla scoperta di Piatak e altri (1993) ed altri ancora che la maggior parte delle persone con carichi virali alti non hanno virus coltivabili/infettivi, e che anche nelle persone che hanno virus coltivabili, tra il 99,99% e il 99,9999% dei virus sono non coltivabili e non infettivi. Questi virus “non infettivi” possono rappresentare carichi virali falsamente elevati a causa della confusione con l’RNA delle cellule umane e di altri microbi.
Un’altra implicazione delle scoperte è che la diagnosi dell’infezione da HIV continua a contare in modo massiccio sui test anticorpali ELISA e Western Blot. L’accuratezza di questi test e la metodologia sperimentale usata per determinarne la sensibilità e la specificità dovrebbero quindi essere esaminate attentamente, soprattutto dal momento che alcuni autori ritengono che i falsi positivi siano un problema anche con questi test (Proffitt e altri 1993, Challakeree e altri 1997, de Harven 1998a&b, Giraldo 1998, MacKenzie 1992, Papadopulos-Eleopulos e altri 1993, Sayre e altri 1996). Ci si aspetta una forte correlazione tra i carichi virali positivi e i test anticorpali HIV positivi, perché i test del carico virale sono progettati per cercare sequenze di RNA che derivano dalle proteine usate nei test anticorpali. Se una persona ha un risultato positivo per gli anticorpi, è probabile che abbia RNA con le stesse sequenze di codici nel sangue perché questo RNA è usato dalle cellule per codificare queste proteine. Questo significa che è molto probabile che un test anticorpale HIV falso positivo aumenti il rischio di un carico virale falso positivo.
Un’ulteriore esame di quali fattori aumentino il rischio di cariche virali positive false o falsamente elevate sarebbe estremamente prezioso, dal momento che molte decisioni sui trattamenti vengono generalmente basate sulle misure della carica virale. Finchè non viene intrapresa una tale ricerca, comunque, è consigliabile prendere decisioni basate sui sintomi della persona e sulla presenza di una malattia clinica, e non affidarsi in modo massiccio ai risultati dei test del carico virale. Se una persona sembra stare peggio dal punto di vista clinico anche quando il carico virale è sceso, può essere consigliabile ridurre o interrompere la terapia in atto. Molto della carica virale ridotta osservata in questa situazione può essere dovuta a effetti tossici sulle cellule umane. Nello stesso modo, se una persona sta clinicamente bene anche se il suo carico virale è alto e non è sotto cura anti HIV, può essere consigliabile negare una medicazione e invece incoraggiare la salute conservativa promuovendo misure che puntino alla salute nutritiva, sociale, psicologica e spirituale, anziché puntare a trattamenti il cui obiettivo primario è ridurre la “carica virale” della persona.
Matt Irwin, dottore in Medicina, lavora nello studio di famiglia; ha scritto parecchie recensioni letterarie sull’HIV e sull’AIDS mentre frequentava la facoltà di medicina presso la George Washington University. Ha inoltre il titolo di dottore in servizio sociale dalla Catholic University of America. In aggiunta al suo interesse per visioni alternative di HIV e AIDS, è specializzato in promozione della salute con interventi nutrizionali, psicologici, sociali e spirituali, come pure la classica omeopatia. Ha uno studio professionale nei pressi di Washington, D.C..
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