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MEDICINA BIOELETTRONICA
Perché la medicina scientifica "non funziona"
La sintesi millenaria delle “medicine sacre”
Autore: Carlo Di Stanislao

La medicina scientifica, basata sul modello sperimentale e su sistemi di tipo deduttivo, poco sembra avere in comune con i sistemi guaritori e medici tradizionali, sia di tipo magico-soteriologico che strutturati attraverso visioni filosofiche affatto particolari e di tipo squisitamente empirico e fenomenologico. Mentre la scienza medica procede attraverso studi d’evidenza clinica, le medicine tradizionali o complementari percorrono sovente vie diverse, come studi aperti e non controllati, segnalazioni di casi singoli, eccetera.

Esistono ampie differenze di scopi, di linguaggio ed anche concettuali fra medicina scientifica e Medicina tradizionale cinese (MTC), ma, riteniamo, molto spesso più enfatizzate di quanto strettamente necessario. A titolo di puro esempio segnaliamo che le apparenti differenze nei concetti di salute e di malattia sono emerse in modo radicale solo negli ultimi decenni e da quando la medicina scientifica ha assunto uno stretto e forse troppo rigido carattere statistico.

Se ci riferiamo agli elementi-base del pensiero medico occidentale (ovvero scientifico) e di quello che informa la Medicina orientale non troviamo grandi differenze. Per entrambi i metodi, tutti gli organismi viventi che si ritrovano in un certo ambiente sono esposti ad innumerevoli influenze di ordine fisico, chimico e biologico. Per questo motivo le strutture e le funzioni si modificano incessantemente lungo l’arco della vita e, come proprietà prioritaria degli esseri viventi, si registra un adattamento funzionale alle influenze esterne garantita da sistemi, più o meno complessi, di “autocontrollo” e di “omeostasi”.

Ovviamente le possibilità d’adattamento (e quindi di conservazione della salute) degli esseri viventi non sono inesauribili e, di là da certi limiti, l’organismo non può modificare l’intensità delle proprie funzioni e tende o a rimanere nello stato di massima prestazione o a regredire da questo e a modificare, in modo progressivo, il proprio ambiente interno. In questo modo sia per la medicina scientifica che per le medicine tradizionali, lo stato di salute deriva da un equilibrio ideale, equilibrio molto plastico ed instabile, con oscillazioni incessanti attorno ad un valore basale.

La salute non è solo “normalità”

Tuttavia, negli ultimi trenta anni, l’affermarsi, nel mondo scientifico e sperimentale, del determinismo statistico (nel tentativo di identificare i valori normali e patologici di una qualsiasi variabile inserita in curve gaussiane), al termine di “salute” si è, di fatto, sostituito il termine di "normalità" e a quello di “malattia” quello di "anormalità", il che, pur valido sotto il profilo matematico, induce a considerazioni molto ampie, critiche e con numerose riserve.

Passata da assunti biologici a contenuti statistici, la medicina scientifica, dagli anni Sessanta e Settanta, ha sostituito alla definizione di salute quello, più agevole, di "stato normale", creato, in definitiva, attraverso un’analisi matematica dell’intensità dei fenomeni. Secondo questo ormai diffuso modo di vedere, l’idea di malattia deriva da uno spostamento di un carattere da un valore di normalità individuato statisticamente, ad un valore diverso che, lungi dall’implicare una perturbazione d’equilibrio ideale o desiderabile per l’individuo, finisce per costituire l’unico parametro di riferimento del biologo e del clinico.

Pertanto l’unico problema (o comunque il problema preminente) della moderna Biomedicina sembra essere quello della corretta identificazione dei valori normali di riferimento, tralasciando argomenti di natura assiologica che riguardano la Medicina come scienza naturale e non come scienza esatta.

Da quanto sopra argomentato si può facilmente arguire che l’attuale medicina giudica salute e malattia in termini numerici e statistici e, dimenticando il problema dell’individualità, non giudica più l’adattamento dinamico e progressivo fra uomo ed ambiente, ma semplicemente di quanto un valore (chimico o morfologico) si discosti dal suo indice ideale nella popolazione generale.

Un individuo sano è in armonia con l’Universo

Diverso è stato, invece, l’iter storico, delle medicine tradizionali o “sacre”: le più antiche forme guaritorie di tipo magico-apotropaico, giunte intatte sino ai nostri giorni ed ancora applicate su oltre 1/3 della popolazione terrestre.

Quando usiamo l’aggettivo “sacro” per definire queste medicine, non intendiamo contenuti di natura religiosa, ma una costante ricerca d’armonia fra microcosmo e macrocosmo, interiorità ed esteriorità, fra l’individuale ed il collettivo (sacer in latino indica il grado d’equilibrio raggiunto fra gli opposti). Gli scopi della ricerca “sacra” o “tradizionale” sono quelli relativi alla comprensione dell’Uomo e dell’Universo, attraverso un’analisi millenaria degli elementi che condizionano il divenire umano ed i fenomeni naturali, secondo l’assioma antico Tian Ren He Jie (“l’Uomo ed il Cielo rispondono alle stesse leggi”).

Prima ancora che olistiche, queste medicine sono ecologiche e sviluppano un programma ben definito che porti l’uomo ad imparare a vivere nel proprio ambiente, nel proprio villaggio, nella propria città (oikos in greco vuol dire “casa”, “abitazione”).

Certo anche la medicina scientifica si è posta il problema dell’individualità e già Sigerist, nel 1947, aveva affermato “che le malattie non esistono, ma esistono individui malati”.

Tuttavia, nella sostanza, l’attuale medicina fatta di “trend” ed “algoritmi”, di fatto respinge quest’assioma di origine ipprocratica, ignorando che esistono fattori predisponenti e costituzione che, in misura diversa, possono interpretare l’adattamento all’ambiente ed il binomio dinamico fra salute e malattia.

[1- continua]








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