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FIABE TERAPEUTICHE
Dall'antica tradizione italiana, fiabe inedite da raccontare e da ascoltare
Io da casa mi partì
Autore: Maria Cristina Garofalo
Me la raccontava, infinite volte, identicamente, mia nonna Marietta, nel secolo "scorso"… e, in viaggio nel tempo, la conoscono anche i nipotini dell'era cibernetica. Quando l'ascoltano ridono con la mia stessa convinzione di allora, e chiedono repliche.
Evitiamo qui le scontate considerazioni saggistiche o eventuali riletture popperiane/psicoanalitiche, fin
troppo evidenti (la presenza forte dell'elemento corporeo, il diverso, i ruoli….) e manteniamo il
dialetto che, come al solito, più che la lingua ufficiale, dà forza alla narrazione. Divertitevi, scaricatevi… e che la fantasia sia con voi! Un giorno il re di una contea fece un bando in cui diceva che voleva far sposare sua figlia. Mandò araldi in paesi e contrade del suo reame facendo sapere alla popolazione che avrebbe data in moglie la principessa, a chi avesse portato un indovinello non contenuto nel libro degli enigmi di sua figlia. In una di queste contrade viveva una donna col figlio ritenuto da tutti, lei compresa, un po' tocco. Quando questo sentì il bando, però, disse alla madre "Io andrò a sposare la principessa". La donna, impressionata dal proposito del figlio pensò che sarebbe certamente andato incontro a morte sicura perché il re aveva posto anche questa clausola "Chi non supererà la prova verrà ucciso!". Non potendo fare niente per fermarlo, la donna decise di escogitare un mezzo per non farlo arrivare dal re pensando che sarebbe stato meglio che ad ucciderlo fosse stata lei invece di un altro. Gli preparò così una frittata, avvelenata, da mangiare lungo il viaggio. Legacciola1 in spalla, il povero sciocco ignaro di tutto si mise in cammino portando con se il fedele cane Bella. All'imbrunire, dopo molte ore di viaggio, stanco ed affamato si fermò al limitare del bosco, ed aprì la legacciola preparatagli dalla madre. Prima di iniziare a mangiare la frittata, ne prese un pezzo e la diede al cane che era più affamato di lui ma....appena Bella la azzannò cadde a terra stecchito. Sebbene sciocco, si rese subito conto dell'intento della madre e gettò il resto della frittata cominciando a pensare "Io da casa mi partì. Mamma ammazza me; io ammazzo Bella...". La fame, comunque, non l'aveva placata e perciò all'alba si mise alla ricerca di altro cibo. Girandosi indietro per dare l'ultimo saluto a Bella vide che tre uccelli stavano beccando la sua carogna e che, subito dopo, anche quelli stramazzarono al suolo, morti avvelenati. Nella sua mente allora cominciò a prendere corpo l'idea di fare un indovinello su quello che gli stava accadendo durante il viaggio. Così ripeté fra sé e sé "Io da casa mi parti'. Mamma ammazza me; io ammazzo Bella; Bella ammazza tre..." e, così pensando, continuò il suo cammino. Ad un tratto sentì un fruscio e sopra un cespuglio scorse degli uccellini. Pensò di tirargli una sassata per ucciderli e mangiarli. Sbagliò mira e i volatili fuggirono spaventati, ma....nello stesso momento sentì un debole lamento simile ad uno squittio provenire dall'interno del cespuglio, si rese conto allora di aver colpito qualche altra cosa. Guardò fra i rovi e scoprì una nidiata di leprotti incustoditi, appena nati. Pensò che così piccini e tenerelli sarebbero stati per lui un buon pasto da sostituire la frittata avvelenata e gli uccellini scappati. Li cucinò accendendo il fuoco con della carta scritta trovata lì attorno. Mentre mangiava, rimuginava, e nella sua mente l'indovinello fluiva: "Io da casa mi partì. Mamma ammazza me, io ammazzo Bella; Bella ammazza tre. Tirai a chi viddi e colsi chi non viddi; mangiai carne né creata né nata cotta con parole chi c'anduina2 sarà un signore". Felice e contento riprese il suo cammino ripetendo mentalmente l'indovinello. E, chi mai, infatti, avrebbe potuto districare il difficile enigma? Le sorprese per lui, però, non erano ancora finite. Un rumore corrosivo e stridente lo fece trasalire. Si guardò attorno e vide dei sassi cadere da un'alta montagna, si avvicinò con cautela e vide, su un costone, un gigante che la stava rodendo e sgranocchiando. Sentendosi osservato sospese la sua occupazione e lo guardò. Lui per niente spaventato o stupito gli chiese: "Che fai compà?". "Ho una gran fame e posso soddisfarla solo mangiando rocce. Ma, purtroppo, anche queste si esauriscono perché sono un ghiottone insaziabile e ormai ho ridotto a pianura vaste zone". Lo sciocco gli disse che andava a sposare la figlia del re e che, se voleva, poteva andare con lui perché, dato che sarebbe diventato tanto ricco, gli avrebbe potuto garantire cibo a volontà per sempre. Il gigante accettò. Camminarono ancora un po', quando videro, presso un ruscello, un altro gigante che stava inginocchiato sull'argine bevendo l'acqua da un guscio di noce. Gli chiese cosa stesse facendo e lui rispose che beveva, avendo sempre una gran sete. Lui obbiettò che, così, non si sarebbe mai dissetato e gli consigliò di poggiare le labbra direttamente sull'acqua tirando una sorsata, ma l'altro rispose: "Non posso farlo perché prosciugherei tutto il fiume in un sol colpo". Lo sciocco chiese di dimostrarglielo, perché se fosse stato vero lo avrebbe portato con sé a sposarle la figlia del re e aggiunse che dopo non gli sarebbe più mancato da bere. La prova fu data con una sola sorsata prosciugatrice e così anche il secondo gigante si aggregò alla brigata. Dopo aver fatto un po' di chilometri, videro un altro gigante che era appoggiato ad una torre. Interrogato sul perché di quella posizione rispose: "Se mi togliessi di qui la torre crollerebbe" "Dimostramelo! E ti porterò con me a sposare la figlia del re!". Si spostò, la torre cadde e lui si unì alla strana congrega. Proseguivano quando, a poca distanza dal castello, si imbatterono in un improvviso banco di nebbia. Stavano già perdendo l'orientamento quando udirono una voce comandare: "Nebbia a sacco!" e come d'incanto la nebbia sparì, lasciando comparire di fronte ai quattro amici un omone con un grosso sacco di juta sulle spalle. Neanche a dirlo, lo stesso invito che ai tre precedenti fu rivolto anche a lui. Arrivati alla mèta si resero conto che da tutto il Reame, era affluita molta gente per partecipare alla gara, perché la principessa era tanto bella e ricca anche se perfida. Manco a dirlo, già a vederlo, le guardie neppure volevano farlo entrare, ma poi convinti che sarebbe rimasto vittima della sua illusione, lo lasciarono passare. Gli spasimanti precedenti dicevano i loro indovinelli, ma la principessa con aria beffarda sfogliava e risfogliava il suo librone, e trovava la risposta giusta perché il suo testo ne conteneva moltissimi. Naturalmente a tutti gli sconfitti toccava la stessa sorte: venivano uccisi senza pietà! Quando arrivò il suo turno sciorinò con sicurezza l'indovinello che teneva a mente, e che nessun altro poteva conoscere oltre lui. Così iniziò': "Io da casa mi partì. Mamma ammazza me; io ammazzo Bella; Bella ammazza tre. Tirai a chi viddi e colsi chi non viddi; mangiai carne né creata né nata cotta con parole chi c'anduina sarà un signore". La principessa che stava sul palco d'onore attorniata dai giudici, ciambellani, consiglieri di corte, seduta sul trono al fianco del re suo padre, sfogliò e risfogliò il librone poggiato sul leggio, ma naturalmente non trovò la soluzione. Guardandosi sbalorditi, e preoccupati di dover tener fede alla promessa di far sposare la principessa al vincitore della gara, concordarono di imbrogliarlo. Anche perché la principessa aveva cominciato a piangere e disperarsi, urlando che non voleva sposare quel brutto sciocco. Il re allora disse che doveva superare altre prove durissime e difficili prima di avere il consenso per le nozze. A malincuore lo sciocco accettò di essere rinchiuso in una torre, dove gli sarebbero state portate grandi quantità di cibo e bevande, che avrebbe dovuto consumare fino all'ultimo. Lui però pose la condizione che ci fossero anche i suoi amici. Il re accettò e ordinò alla servitù, e ai cuochi di palazzo, di dar fondo alle scorte; e alle guardie che, se tutto non fosse stato consumato, se qualcosa fosse tornato indietro, li avessero uccisi immediatamente e senza pietà. Una volta rinchiusi nella torre venne mandato su tanto, tanto cibo che, per prepararlo, c'erano voluti tutti i cuochi del Reame e non si trovavano più provviste per i sudditi perché i cinque prigionieri - soprattutto il gigante Mangia Montagne - riuscivano a esaurire tutto, con grande strazio della principessa, che non riusciva a capacitarsi di dover sposare un tipo simile, e del re che doveva addirittura dargli metà del suo regno, e dei tesori della corona, in dote. Alla fine, per non andare in rovina si rassegnarono e decisero di affogarli nel vino. Macché !?!?!? Quelli, riuscirono a bere tutto quanto, soprattutto, grazie al gigante che aveva prosciugato il fiume. Finché un giorno, per non finire sul lastrico, terminate anche le scorte vinicole, il re diede ordine di liberarli e acconsentire alle nozze, pensando, però, di fermarli per strada, rapire la figlia e uccidere loro.
Si fecero le nozze. Poi un gran banchetto, e gli sposi, con i quattro amici, partirono per il viaggio di nozze che li avrebbe portati al villaggio di lui, per far conoscere la moglie alla madre che non aveva creduto alle sue possibilità. Gli fu fornito un cocchio e un baule carico di tesori. Il re con i cavalieri si erano già preparati ad inseguire il gruppetto, ma mentre li stavano per raggiungere loro se ne accorsero e corsero ai ripari. L'uomo che aveva tanto mangiato, fece tanta cacca in cui rimasero impantanati cavalli e cavalieri, re compreso; quello dei giganti che aveva bevuto tanto, li innaffiò facendo tanta pipì fino a formare un vero e proprio lago; quello che aveva la nebbia nel sacco gli ordinò di uscire facendo perdere definitivamente le loro tracce. Nel frattempo, quello tanto forte aveva legato ben bene sovrano e scorta. Lo sciocco poté, allora, finalmente arrivare a casa dalla madre, tutto trionfante, con la principessa, la sua scorta fedelissima, e i tesori della dote, facendola sbalordire per essere riuscito nel suo intento.
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